Chirurgia protesica dell'anca
La chirurgia protesica dell’anca è un campo in continuo sviluppo; oltre al miglioramento dei materiali impiegati, i chirurghi tendono ad eseguire interventi meno traumatizzanti per ridurre le complicanze post-operatorie ed il periodo necessario alla riabilitazione del paziente.
Attualmente nella maggioranza dei centri c’è la tendenza di impiantare componenti non cementate (sia l’acetabolo sia lo stelo).
In particolare, alcuni studi hanno evidenziato che gli steli non cementati hanno una longevità maggiore dei migliori steli cementati, con un tasso di revisione inferiore al 1% dopo 10 anni dall’impianto.
Comunque, nei soggetti anziani con grave osteoporosi è preferibile la cementazione dello stelo.
Nella chirurgia protesica dell’anca, negli ultimi anni ci sono state importanti novità per ciò che riguarda la longevità degli impianti.
Le novità più importanti riguardano i materiali utilizzati nelle superfici di scorrimento che risentono meno dell’usura meccanica e pertanto si consumano più lentamente.
Dal lato acetabolare i polietileni attualmente in usopresentano caratteristiche tali da garantire un consumo bassisimo.
Dal lato femorale l’uso di testine in ceramica riduce l’usura del polietilene.
È anche possibile accoppiare una testa in ceramica con una acetabolo in ceramica questa combinazione ha anch’essa un consumo bassissimo.
Nessuna combinazione è esente da complicanze.
Comunque, attualmente l’accoppiamento che presenta il miglior rapporto rischi benefici e quello di polietilene/ceramica.
In passato si usava anche l’accoppiamento metallo – metallo che dal punto di vista usura è altrettanto valido.
Tuttavia, l’esperienza clinica ha evidenziato che quest’ultimo tipo di accoppiamento libera nel sangue e nei tessuti un’elevata quantità di ioni metallici, soprattutto se l’accoppiamento presenta incongruenze, in alcuni soggetti si possono verificare la formazione di granulomi da accumulo di ioni.
Benché nella mia esperienza clinica esistono risultati molto allettanti, preferisco evitare le protesi metallo-metallo ed orientarmi verso soluzioni differenti.
Come già detto, l’affinamento delle vie chirurgiche ha consentito di usare incisioni cutanee più limitate, ma soprattutto, un minor danno ai tessuti muscolari, consentendo un recupero più precoce e riducendo il rischio d’alcune complicanze post-operatorie come la lussazione della protesi.
Come per qualsiasi tipo intervento, in tutti i centri, sono possibili complicanze generiche.
In particolare dopo un intervento di sostituzione protesica dell’anca, oltre all’infezione dell’impianto che rappresenta la complicanza rara, ma temibile, si possono verificare fenomeni trombo-embolici, lussazione, disaccoppiamento dell’impianto, fratture del femore o dell’acetabolo o imprecisioni di posizionamento dell’impianto che in casi estremi, possono richiedere un intervento di revisione.
La mini-invasività, tuttavia, non è una garanzia contro le complicanze.
Anzi, l’estremizzazione di questa tendenza in mani poco esperte comporta un aumento del rischio di frattura intra-operatoria del femore ed un tasso non indifferente di mal posizionamento delle componenti.
Inoltre, se la lunghezza dell’incisione non è adeguata alla taglia del paziente, durante l’intervento si eserciterà una trazione eccessiva sui muscoli con conseguente danno cosmetico maggiore rispetto alle cicatrici tradizionali.
Il chirurgo pertanto deve utilizzare la via meno invasiva e più rispettosa per i tessuti molli, ma non a costo di eseguire un’incisione più piccola del necessario.
Purtroppo, recentemente si è assistito a dichiarazioni ed esagerazioni non sostenute da dati scientifici.
Questo è un atteggiamento pericoloso nei confronti del paziente giacché crea una cattiva comunicazione ed aspettative non sempre realizzabili
Il periodo necessario al paziente per la riabilitazione comprende non soltanto il recupero dall’intervento, ma anche il recupero dalle limitazioni pre-esistenti dovute alla malattia (condizione pre-operatoria).
Premesso che con tutte le vie chirurgiche, se si è rispettosi delle parti molli, il risultato a tre mesi dal punto di vista funzionale non presenta differenze.
Tuttavia, l’impianto della protesi per via anteriore, benché recentemente molto pubblicizzato, non può essere utilizzato in tutti i pazienti.
I pazienti obesi o affetti da postumi di trauma non possono essere operati per via anteriore.
Inoltre, la durata dell’intervento per via anteriore è maggiore rispetto alla via posteriore.
In mani esperte il rischio di lussazione è pari.
La via anteriore segue la metà distale di quella descritta da Smith-Petersen (1886-1953) (http://www.whonamedit.com/synd.cfm/3157.html); quindi prevede l’accesso all’anca passando negli interstizi naturali tra i muscoli, senza la necessità di disinserili.
L’incisione può essere facilmente limitata, giacché l’anca è un’articolazione abbastanza anteriore e quindi il campo chirurgico non è particolarmente profondo.
Questo accesso, prevedendo un danno dei muscoli molto limitato, purché il chirurgo abbia dimestichezza e rispetti le parti molli, permette una maggiore stabilità iniziale dell’impianto con riduzione del rischio di lussazione; in più, consente un recupero più rapido e semplificato.
Con questa via ci si può avvalere facilmente dell’uso del fluoroscopio durante l’intervento per controllare la direzione, la dimensione e la posizione dei componenti protesici nonché la lunghezza dell’arto.
Per la migliore esecuzione di questa via, sono stati ideati strumenti dedicati.
Tuttavia, altri tipi di impianti, come quello a doppia motilità molto praticato da diverse scuole francesi, offre una maggiore stabilità e mobilità articolare rispetto alle protesi tradizionali ed è meglio posizionata per la via mininvasiva posteriore.
Dopo un intervento di sostituzione protesica dell’anca eseguito medianti approcci mininvasivi sia posteriori che anteriori è possibile sottoporre il paziente ad un programma di riabilitazione precoce.
Infatti si inizia la fisioterapia il giorno dopo e la deambulazione è possibile già dalla prima giornata.
Proprio per questo la dimissione può essere abbastanza precoce; infatti, generalmente 4-5 giorni dopo l’intervento, il paziente è autonomo nelle sue attività di base e può tornare a casa.
Ovviamente tale periodo può variare in base all’inabilità pre-operatoria ed alle capacità generali del paziente.

Paziente affetta da coxartrosi sin secondaria a displasia dell’anca

Radiografia dell’immediato post-operatorio. Fu impiantata una protesi metallo-metallo per via posteriore.

Risultato a 17 anni di distanza. La paziente necessita ora di artroprotesi all’anca dx
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